Strage di Erba: l’errore del magistrato che vuole la revisione e accusa i colleghi di errori (o peggio)

L’inchiesta La macchia di sangue sull’auto di Olindo Romano: il sostituto procuratore che sostiene la difesa nel suo atto riporta un dato (importante) sbagliato

Il magistrato della Procura generale di Milano che accusa i colleghi di Como e i Carabinieri di Erba di aver commesso errori gravissimi (o addirittura peggio, di aver truccato le carte) per motivare la sua richiesta di revisione del processo a Rosa Bazzi e Olindo Romano, ha inserito lui stesso nel suo atto un dato sbagliato. Un errore solo all’apparenza banale, in realtà importante perché commesso a sostegno della tesi sulla superficialità degli inquirenti comaschi e perché dimostra come in poche settimane di studio è difficile rileggere con la dovuta attenzione gli atti di una vicenda che ha richiesto decine e decine di udienze nelle aule di Tribunale e riempito decine di faldoni di atti.

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Se di errori decisivi ne sono stati quindi commessi, nella vicenda giudiziaria sulla strage di Erba, questi in realtà li si riscontra nell’atto “pro innocenza” dei coniugi di Erba firmato da Cuno Tarfusser. Come detto nell’ipotizzare un errore o, addirittura, una falsificazione (modello ipotesi di complotto) nell’acquisizione delle prove a carico di Rosa Bazzi e Olindo Romano, il sostituto Pg cita la vicenda della macchia di sangue rinvenuta sull’auto dell’ex netturbino. Il magistrato sottolinea, nel suo atto, che la Seat Arosa era stata ispezionata due volte: “Una prima volta nell’immediatezza dei fatti dai carabinieri della stazione di Erba (il 12 dicembre 2006 alle ore 14.21) quando procedono alla sua perquisizione. In quell’occasione i carabinieri non trovano alcuna traccia ematica sul battitacco, lato guidatore, della vettura. Ciò nonostante che, come emerge dalla relazione del Previderè che la analizzerà, la traccia ematica sia di circa 2 cm quadrati (cm 2x1) e quindi ben visibile”.

In realtà questo non è vero. Il dottor Tarfusser, infatti, si è limitato a leggere una parte della consulenza, omettendo un passaggio essenziale della relazione firmata dal dottor Previderè. Ovvero questo: “L’apertura della busta contenente il prelievo denominato reperto 3 permetteva di individuare la presenza di un frammento rettangolare, di carta bibula, di dimensioni cm 5x3 sulla cui superficie vi erano alcuni aloni scuro/nerastri. Un frammento di circa 2 cm quadrati (2x1) di tale traccia veniva, quindi, prelevato e posto in provetta, per essere sottoposto ai successivi saggi in laboratorio”. Quindi non era la “traccia ematica” (leggi: macchia di sangue) che misurava 2 centimetri quadrati come si sostiene nell’atto con la richiesta di revisione, bensì il pezzo di carta assorbente ritagliato dal dottor Previderè per procedere all’analisi del dna.

Non una differenza di poco conto, soprattutto se inserito in un atto nel quale un magistrato scrive, riferito ai colleghi della Procura di Como, di aver indagato in un “contesto che definire malato è un eufemismo” o, addirittura, che si è arrivata a una “condanna pronunciata in conseguenza di falsità in atti”.

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