Cronaca / Morbegno e bassa valle
Lunedì 13 Aprile 2015
Profughi in Valle, saranno 500 entro la fine dell’anno
A Delebio l’incontro organizzato venerdì sera dall’amministrazione comunale con la collaborazione del Centro di servizio per il volontariato della provincia di Sondrio (Lavops).
I profughi giunti in provincia di Sondrio dal marzo dello scorso anno ad oggi sono stati 390, mentre «a fine anno possiamo presumere che il numero arriverà a 500». A sostenerlo è stato il direttore della Caritas diocesana di Como, Roberto Bernasconi, intervenendo a Delebio all’incontro organizzato venerdì sera dall’amministrazione comunale con la collaborazione del Centro di servizio per il volontariato della provincia di Sondrio (Lavops) sul tema “Profughi: dalle norme ai fatti”.
Bernasconi ha presentato i dati provinciali sulla presenza dei profughi dopo che Chiara Peri, collaboratore del Centro Astalli di Roma, sede italiana del Jesuit Refugee Service, ha fatto presente «il contesto mondiale nel quale i numeri locali vanno inseriti e che dimostrano come l’Italia non sia certo tra i Paesi con il maggior numero di richiedenti asilo. Ad oggi nel mondo ci sono 56milioni e 700mila profughi tra rifugiati e sfollati interni. Le prime tre nazioni di origine sono Siria, Afghanistan e Somalia. In Libano un abitante su 5 è profugo». I 28 paesi dell’Unione Europea hanno ricevuto nel 2014 866mila domande di asilo e il paese al primo posto è la Germania con 173mila domande. Per l’Italia il dato è di 64.886 domande.
«Dal marzo 2014 a oggi la provincia ha accolto 390 profughi – ha detto il direttore Caritas, Bernasconi – 238 risiedono ancora qui, 136 si sono allontanati, 5 sono usciti dalla tutela delle Prefetture sebbene riconosciuti come profughi, 12 sono inseriti nello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Dei 238 residenti in provincia, 77 sono inseriti in case parrocchiali, strutture di recupero, centri gestiti da religiosi, gli altri 161 sono ospitati negli alberghi. Questo avviene perché la Prefettura non ha scelta quando non vengono messe a disposizione quelle strutture, che pure ci sono, che le comunità locali non utilizzano. La conseguenza è un costo elevatissimo per queste misure di emergenza, cioè 35 euro a persona al giorno a fronte dei circa 40 di un centro Sprar, ma soprattutto l’assenza il più delle volte di tutti i servizi di supporto a queste persone: l’aiuto nelle procedure legali, la scuola, l’inserimento, l’accompagnamento medico e psicologico di uomini e donne, che da noi sono per lo più giovani e giovanissimi, che in un caso su tre hanno subito tortura».
Bernasconi ha lanciato un allarme:«Il disimpegno politico a tutti i livelli, dalla Regione Lombardia che è stata l’unica in Italia a chiamarsi fuori dal problema delegando ai prefetti, fino agli enti locali (che hanno la possibilità di partecipare al bando ministeriale per l’organizzazione di punti di accoglienza sul proprio territorio, ndr), apre la strada anche in Valtellina al rischio dell’intervento di cooperative che sfruttano l’accoglienza come modo per lucrare, moltiplicando i numeri dei ragazzi presenti oggi sul territorio senza fornire loro quei servizi indispensabili affinchè le prospettive future siano positive per loro e per le comunità che li accolgono. Per evitare tutto questo, e prima di tutto che il fenomeno dei rifugiati diventi davvero un problema da gestire, serve l’impegno esteso a tutti i soggetti locali per dare alternative valide di accoglienza».
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