Oggi e domani, due giorni di silenzio elettorale: esistono dal 1956 ma ultimamente sono spesso contestati

Elezioni Dalla mezzanotte del giorno precedente le elezioni al momento del voto: qualche ora per poter prendere una decisione senza essere influenzati dalla continua propaganda dei partiti. Ma la legge non si applica ai social network

La legge in questione è datata 4 aprile 1956 e regola la campagna elettorale stabilendone la chiusura due giorni prima del voto. L’idea è quella di permettere agli elettori di prendersi alcune ore - dalla mezzanotte del giorno precedente le elezioni - per riflettere sulla propria decisione senza essere continuamente assillati e influenzati dalle dichiarazioni dei politici in corsa. È quello che accadrà oggi e domani, nei giorni che canonicamente sono chiamati di “silenzio elettorale”, una pratica che è diffusa in diversi paesi del mondo e che vieta ai politici di organizzare eventi o mostrarsi in televisione per fare propaganda. Vietati dunque i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, l’affissione di manifesti propagandistici e la presenza sulle emittenti radiotelevisive (quest’ultimo divieto è stato inserito con una modifica della legge nel 1975).

Nella legge del 1956 si parlava di radio e televisione, che dire quindi dei nuovi media?

Non sono mancate però negli ultimi anni le contestazioni riguardo a questa norma, da alcuni considerata anacronistica. Le ragioni sostenute da chi vorrebbe abolirla sono legate infatti al fatto che, quando venne approvata tra gli anni ’50 e ’70, gli unici media esistenti erano la radio e la televisione, comunque non molto diffusa. Nel frattempo il mondo è cambiato, con l’avanzata del digitale e la pervasività acquisita dai social network: è cambiato profondamente anche il modo di fare politica. Naturalmente, nella legge del 4 aprile 1956 non c’è alcun riferimento a realtà quali Facebook, Twitter o Instagram - allora nessuno poteva ancora immaginare in quale mondo ci saremmo trovati nel 2022 - questi ultimi costituiscono però ad oggi uno degli strumenti favoriti dai politici per comunicare coi propri elettori.

Non in tutti i paesi esiste: per alcuni limita la libertà di espressione

Quindi, anche se la campagna elettorale si è formalmente conclusa ieri, non ci sarebbe da stupirsi nel vedere nelle prossime ore ancora qualche intervento di propaganda da parte dei partiti e dei loro candidati sui rispettivi profili social. Sono state presentate alcune proposte di legge per estendere il divieto anche ai social network, ma per il momento non sono ancora state approvate. La normativa è ancora quella del 1956 (con l’aggiornamento del 1975 su radio e televisione) e di fatto prevede che «chiunque contravviene alle norme di cui al presente articolo è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 a 1.032 euro» ma spesso in caso di violazione le conseguenze concrete sono legate più che altro a polemiche politiche.

Il silenzio elettorale è considerato in alcuni paesi, tra questi Germania, Stati Uniti e Regno unito, come un limite alla libertà di espressione ed è criticato in quanto non dovrebbe essere lo stato a tutelare i cittadini dai rischi di ricevere eccessive influenze sulla propria decisione di voto, ma dovrebbero essere i cittadini stessi ad avere la consapevolezza necessaria a prendere decisioni oggettive. Francia e Spagna invece, come l’Italia, prevedono il silenzio elettorale ma nella norma è incluso anche il divieto di utilizzato di internet e dei mezzi digitali a fini propagandistici. In Italia peraltro, nei quindici giorni precedenti le elezioni, è vietata la pubblicazione di sondaggi relativi al voto; così anche Grecia, Marocco, Tunisia e Giappone, dove il divieto di pubblicazione dei sondaggi supera i dieci giorni.

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