Le mani della ’ndrangheta su Cantù
I carabinieri: mai vista tanta paura

Parla uno degli inquirenti che indaga su botte e intimidazioni in piazza Garibaldi

Uscito dall’ospedale dove lo avevano spedito a colpi di proiettile, Ludovico Muscatello, nipote del boss di Mariano Comense Salvatore, a Cantù non s’è più visto. Pochi mesi dopo i carabinieri lo sentono parlare al telefono con il suo grande rivale, Giuseppe Morabito: «Da uomo d’onore, Muscatello riconosce la supremazia di Morabito e accetta di abdicare, rendendosi conto del mutamento degli equilibri».

Il luogotenente Francesco Cabras, comandante del nucleo operativo radiomobile di Cantù e tra i principali detective che hanno indagato sulle violenze di piazza Garibaldi tra fine 2015 e inizi 2017, non ha dubbi: quanto avvenuto a Cantù alla fine del 2015, con la gambizzazione del giovane Muscatello, è stata una guerra tra clan che con ogni probabilità si è giocata su altri tavoli. «Dopo quella sparatoria - ammette il sottufficiale dei carabinieri - temevamo delle ritorsioni e delle vendette. E invece nulla di tutto ciò avvenne».

Il detective però non ha alcun dubbio: dietro le violenze in piazza c’era la ’ndrangheta. «In tanti anni di attività - spiega nel corso della sua testimonianza fiume, nel processo a carico dei presunti affiliati ai clan e dei loro “soldati” imputati per botte e minacce con l’aggravante mafiosa - di pestaggi ne abbiamo visti, ma mai così tanti. E, soprattutto, non abbiamo mai visto così tanta paura e tanto timore da parte di numerosi cittadini, che ci chiedevano tutti di intervenire ma, allo stesso tempo, di non essere coinvolti o citati».

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