L’aperitivo, il telefono, la scarpa
Mattia, cinquecento metri di misteri

A un mese dalla sua morte gli investigatori non sono ancora riusciti a fare chiarezza - Tanti quesiti in sospeso, a partire dal quella “passeggiata” nel bosco dopo il tramonto

Sondrio

Quasi cinquecento metri di risalita a piedi in un bosco buio, nel gelo della sera, appena dopo il tramonto. Lo smartphone abbandonato (smarrito?) più in basso, nella neve all’esterno del rifugio “Ai Barchi”. E poi la morte, i traumi al volto cui secondo l’autopsia sarebbe da ricondurre il decesso, compatibili con tutto, con una caduta, ma anche con l’utilizzo di un oggetto contundente.

A un mese dalla sua scomparsa - che, lo ricordiamo, risale al 7 dicembre scorso - il mistero della morte di Mattia Mingarelli, 30 anni, comasco, agente di commercio per una ditta valtellinese di Dubino che distribuisce bevande ma conosciutissimo anche a Como per la sua lunga attività di “pr”, il mistero di quella morte rimane insoluto e, al momento, irrisolvibile, a meno di clamorosi colpi di scena.

La prima delle domande senza risposta riguarda la “passeggiata” di Mattia. Che, se è plausibile la ricostruzione su cui lavora la Procura di Sondrio, attorno alle 19.30 della sera del 7 dicembre, dopo avere consumato un aperitivo insieme a Giorgio Del Zoppo, gestore del rifugio “Ai Barchi” (due bicchieri e un tagliere di affettati, dirà quest’ultimo) esce, smarrisce lo smartphone e si inerpica incomprensibilmente sul sentiero che sale verso il lago Palù, in mezzo ai boschi e a lato della pista da sci.

Alla vigilia di Natale il suo corpo sarà ritrovato a una distanza di circa mezzo chilometro, il volto segnato da quei “traumi orbitali”, il cranio segnato da un trauma occipitale. È il primo di uno dei tanti interrogativi: perché mai Mattia avrebbe dovuto decidere di risalire al buio nel bosco, inoltrandosi così in profondità senza neppure accorgersi di avere smarrito il telefono?

Un secondo interrogativo riguarda una delle sue scarpe, ritrovata a una ventina di metri dal corpo, che - lo ricordiamo - era riverso su un lastrone di pietra in mezzo al bosco, senza segni di trascinamento o altri elementi che facciano pensare che qualcuno possa avercelo portato. Se Mattia c’è arrivato da solo, c’è arrivato incomprensibilmente scalzo.

Il telefono. Al di là del fatto che pare di per sé strano che il giovane agente di commercio comasco possa averlo perduto senza accorgersene, a ritrovarlo era stato proprio Del Zoppo. Ha raccontato di averlo raccolto all’alba del giorno dopo, davanti al rifugio, dove peraltro si aggirava ancora anche il cane di Mattia. Era spento, lo ha messo in carica salvo poi accorgersi che per accenderlo serviva il codice di sblocco richiesto dalla sim. A quel punto il titolare del rifugio decide di inserirne una sua, ricevendo pochi minuti un messaggio da un numero che si sarebbe poi rivelato quello del padre di Mattia, che lo cercava. Il cambio sim e la contestuale ricezione del messaggio non stupiscano: whatsapp si collega al telefono, non alla scheda.

Fuori dal rifugio, vicino al telefono, Del Zoppo ha riferito di avere trovato anche una macchia, forse vomito, e di averla ripulita. Come se Mattia avesse accusato un malore dopo essersi accomiatato alla fine dell’aperitivo e prima di prendere il sentiero nel bosco. Il che non basta, non aiuta a spiegare nulla di questo tristissimo giallo.

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