Il processo «Non sono io
l’assassino di Gera»

Al via in corte d’Assise il processo a Cerfoglio: pesano le 25 chiamate con la vittima la sera dell’agguato

Le botte pochi giorni prima dell’omicidio: «Eravamo ubriachi». Sullo sfondo pesanti debiti di droga

Alza la voce, il “fioeu del pesatt”, mentre nell’aula della corte d’Assise risponde al pubblico ministero che gli ricorda che “il bilancia” è morto proprio la sera in cui lo avrebbe dovuto incontrare lungo la strada ciclopedonale tra Domaso e Gera Lario. «Non è colpa mia! Io non c’entro, non sono stato io».

Corre veloce, il processo a carico di Franco Cerfoglio, 37 anni di Domaso, imputato dell’omicidio volontario di Alfredo Sandrini, falegname di 40 anni di Sorico ucciso da tre colpi calibro 22, esplosi nel buio pesto di una piovosa e gelida sera del 3 gennaio scorso,buona solo per lupi o assassini. in corte d’Assise a Como, davanti a una giuria popolare composta da cinque donne e un uomo, sfilano in un giorno tutti i testimoni dell’accusa. E c’è pure il tempo di sentire la difesa dell’imputato.

Tremante, tutto vestito di bianco, lo sguardo a tratti smarrito a tratti a modo suo combattivo, “ul fioeu del pesatt”, come qualcuno in altolago chiama l’imputato, prova a chiamarsi fuori da quel delitto premeditato. Lo fa da un lato negando di avere motivi di rancore nei confronti di Sandrini e, al pm Mariano Fadda che gli ricorda del debito di droga da almeno mille euro e delle botte prese meno di due settimane prima, replica così: «Non è vero nulla, noi andavamo d’accordissimo. Ci siamo picchiati una volta, è vero, ma perché eravamo ubriachi tutti e due. E per la droga gli dovevo solo 120 euro».

I servizi sul processo su La Provincia del 14 ottobre.

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