Il grande dolore di Teglio

per Jessica e papà Silvano

Tantissima gente alle esequie delle due vittime dell’incidente stradale. L’addio al campo sportivo

Forse non si è mai guardato all’area sportiva di Cà di Scranz a San Giovanni di Teglio come un avvolgente abbraccio della comunità. Così è stato ieri pomeriggio quando si sono celebrati i funerali di Silvano Andreoli, 48 anni, di sua figlia Jessica, 21 anni appena compiuti, dopo il terribile incidente che ha portato via a loro la vita.

Gli spazi, che solitamente ospitano le sagre paesane, sono stati preparati con cura dagli Amis de San Giuan (che hanno falciato l’erba il giorno prima) per le esequie cui una comunità intera ha partecipato, distribuita sotto la tensostruttura, sul campo sportivo, lungo la strada sotto un sole cocente (i volontari degli Amis, inconfondibili nella loro maglietta gialla, si sono premurati di distribuire, dopo l’omelia, bottigliette di acqua per scongiurare malori).

Dunque un abbraccio alle due mamme, Bruna e Beatrice, ai figli più piccoli di Silvano, Stefano di 8 anni e Sofia di 5, ai parenti straziati dal dolore.

Silvano e Jessica sono arrivati in corteo dall’abitazione: Jessica davanti in una bara bianca, il suo papà dietro in una bara beige; su entrambe una cascata di rose rosse. Sono passati lungo il vialetto che porta al tendone, mentre svolazzavano palloncini bianchi a forme di cuore. Silenzio composto da parte delle centinaia di persone presenti che la vastità del luogo ha consentito di disporsi in maniera distanziata e sicura.

Delicata l’omelia di don Mario Simonelli, curatore di San Giovanni di Teglio da diversi anni, che, come sempre ai funerali, ha voluto abbinare al commento del Vangelo i versi da lui composti non senza prima aver ringraziato, da parte della famiglia Andreoli, le persone che sono state a loro accanto, dando aiuto, essendo davvero amici. «In questi giorni abbiamo ripetuto quasi in modo ossessivo che non ci sono parole per porgere le condoglianze e stare accanto agli affetti di Silvano e di Jessica - ha detto don Mario -. La parola dell’uomo lenisce parzialmente il dolore sedimentato nell’intimo, solo la parola di Dio ci consola e ci apre sprazzi di luce nella tenebra che ci avvolge. Anche Cristo ha vissuto diverse forme di sofferenza: ha avuto paura del dolore, si è sentito isolato e tradito dagli amici, è morto in croce gridando nell’angoscia: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!”. Il Signore, quindi, ha sperimentato la sofferenza. Oltre che uomo, essendo Dio, ha deposto un germe di eternità e di rinascita nella profondità del nostro fragile essere».

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