«A casa dei pazienti
Cure e umanità»

La dottoressa Livieri dell’unita speciale Usca, che effettua le visite domiciliari: «Sono passata dal virus, non ho paura»

«Paura?... No, non ci penso. Entro nelle case per infondere coraggio, per portare una parola di conforto, attesa più di qualsiasi consulto medico, e non posso permettermi di pensare ad altro. Poi, siamo protetti. Calzari, cuffia, camice, doppi guanti, mascherina, visiera, bardati di tutto punto. La protezione è massima”.

Poi, lei, Monica Livieri, 34 anni, di Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, medico tirocinante al 2° anno di specializzazione in Medicina di base proprio presso l’Ats della Montagna, dal 16 maggio scorso prestata al servizio Usca, Unità speciali di continuità assistenziale, il Covid lo ha già “cotto e mangiato”.

«Quaranta giorni esatti di isolamento, una quarantena perfetta - dice la dottoressa Livieri -, vissuti proprio a ridosso dell’avvio del servizio Usca, qui, in Ats della Montagna, avvenuto il 6 aprile, e per il quale mi ero condidata. Neanche il tempo di presentare la domanda che mi è arrivato l’esito del tampone: positivo. Bene, terminato il calvario dell’isolamento, mi sono ripromessa che avrei fatto tutto il possibile per assistere le persone costrette a casa a causa del Covid, perchè ci sono momenti durissimi»

Non è tanto e solo il decorso clinico della malattia, sul piano fisico, quanto quello psicologico.

«Lo vedo, e lo constatano anche tutti i miei colleghi, alcuni persino più giovani di me - dice la dottoressa -, quando entriamo nelle case le persone ci accolgono a braccia aperte. Tanto più i casi positivi in isolamento. Perchè siamo gli unici, dopo giorni, magari, che possono avvicinare, toccare, abbracciare. Mi sono rimaste impresse due visite, in particolare, fatte in questi giorni. La prima a un bambino down, era solo nella sua stanza, e quando mi ha vista ha pensato fossi un supereroe! Dolcissimo! E ancora il caso di una donna ammalata di Alzheimer che non poteva avvicinarsi al marito asintomatico, quando, per questi pazienti, il contatto è spesso un bisogno naturale, incontenibile. Appena mi ha vista mi ha abbracciata, in un modo che non potrò mai scordare. Come fosse mia nonna!».

Un’esperienza unica ed irripetibile, per Monica Livieri, quella che sta vivendo dal maggio scorso. È scritta nei suoi occhi, che brillano come diamanti, tanto sono pieni della gioia che dà e che riceve dai pazienti, che visita. Intorno agli otto al giorno, tutti i giorni, dalle 9 alle 17, dividendosi, ovvio, in turno con altri quattro colleghi, Giacomo Mazza,Marco Pellegrini, Nicola Bonomo, e Alessandro Uslenghi.

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