Famiglia e lavoro al bivio
com’è difficile conciliarli
In 318 hanno lasciato l’impiego

Sono le lavoratrici le più colpite dal peso del lavoro di cura

Difficoltà a conciliare il lavoro con la cura dei figli. È il motivo dichiarato con maggiore frequenza dai padri e dalle madri di bambini con un’età inferiore ai dodici mesi che l’anno scorso si sono dimessi dal proprio posto. I dati diffusi dall’Ufficio delle consigliere di parità della Lombardia, che hanno elaborato informazioni fornite dalla Direzione regionale del lavoro, dimostrano che ben 318 persone, nel 2019, sono state costrette a interrompere il proprio impiego perché era incompatibile con l’assistenza ai bambini.

In 309 casi si è trattato di dimissioni volontarie in cinque di giusta causa e in quattro di risoluzione consensuale. La prevalenza delle donne è molto netta: riguarda 241 casi, mentre gli uomini sono 77. L’analisi più interessante è probabilmente quella relativa alle ragioni di recesso – complessivamente 395 - fornite dai lavoratori nella sede dell’ispettorato. Tra le intervistate prevalgono la difficoltà a conciliare il lavoro con la cura dei figli per difficoltà legate ai servizi di cura (162) e all’azienda (80). Motivazioni che, fra i maschi, vengono citate solo in un caso ciascuna. Il problema riguarda le famiglie, insomma, ma a farne le spese sono quasi esclusivamente le madri. Non solo: per le lavoratrici sono rilevanti anche il cambio di residenza o la distanza tra il luogo dove si vive e la sede di lavoro, oltre al ricongiungimento con il coniuge (12). Una dinamica assente, invece, nelle risposte di mariti e compagni. Il passaggio ad un’altra azienda, invece, è piuttosto significativo sia per le donne (44), sia per gli uomini (67), e in questo caso la connessione con la presenza di un bambino non è né certa, né probabile. Per quanto riguarda l’età delle persone che rinunciano al proprio posto, solo in 19 casi si è trattato di under 24. Sono molto più rappresentate le fasce 24-29 (81), 29-34 (105) e 34-44 (106).

In vari casi le lavoratrici e i lavoratori si sono dimessi dopo vari anni di attività nella stessa impresa: più della metà (161) era stato assunto da almeno diciotto mesi e in 37 casi da più di un decennio. Queste problematiche sono poco democratiche, visto che un solo dirigente (uomo), si è dimesso (e le specifiche ragioni non sono note), mentre sono molti di più gli impiegati (130 donne e 14 uomini) e gli operai (96 e 59).

Tra i settori interessati da queste vicende prevale nettamente il terziario, con le dimissioni di 239 persone (198 donne e 41 uomini), seguito dall’industria con 53 (34 e 19). In particolare il maggior numero di pratiche elaborate dall’ispettorato sondriese sono state relative al commercio (52), alla sanità e all’assistenza sociale (44) e ai servizi di alloggio e ristorazione (41), dove si è registrata una netta prevalenza femminile, seguiti da trasporto e magazzinaggio (23), In quest’ultimo caso, però, sono più numerosi gli uomini. Concentrando l’attenzione sulle dimissioni delle lavoratrici, si può osservare un certo equilibrio fra le aziende di diversa dimensione. A proposito dell’orario di lavoro, in 208 casi si trattava di dipendenti assunti con contratti fulltime.

Il tempo parziale, richiesto dai dipendenti, è stato accettato in soli 16 casi, mentre i “no” delle imprese sono stati ben 302. Alla base della scelta dei 318 dimissionari non ci sono stati benefici economici: quando hanno lasciato l’azienda non hanno ricevuto incentivi. Questo aspetto conferma, ancora una volta, l’inevitabilità di tale scelta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA