Donna uccisa in stazione, il pm chiede due ergastoli

Il processo in corso a Rimini per la morte di Lidia Nusdorfi, uccisa nel febbraio dello scorso anno alla stazione di Mozzate

Ergastolo, isolamento diurno, perdita della patria potestà: è la richiesta del pubblico ministero in Corte d’Assise questa mattina a Rimini per il processo a carico del fornaio albanese, Dritan Demiraj, che ha ucciso l’amante della ex compagna, Stefano Mannina il 28 febbraio 2014 e la ex Lidia Nusdorfi alla stazione di Mozzate (Como). Chiesto l’ergastolo anche per lo zio, il pescatore albanese di 50 anni Sadik Dine. Trent’anni invece la richiesta per Monica Sanchi la riccionese ultima fiamma del fornaio e grande accusatrice dei due uomini.

Il processo per duplice omicidio è arrivato oggi alle battute finali, il 14 marzo sarà l’ultima udienza prevista per le repliche e molto probabilmente la sentenza per Demiraj, reo confesso che però ha sempre sostenuto che al 5/o piano della palazzina riminese dove uccise Mannina c’erano solo lui e la Sanchi, non lo zio intervenuto dopo. Mentre nelle scorse udienze la Sanchi aveva raccontato a giurati popolari e togati della Corte di aver visto tutto, di aver assistito all’uccisione di Mannina a Rimini.

Per l’omicidio di Lidia alla stazione invece Demiraj fu aiutato nel percorso in auto ma ad uccidere fece da solo. Sia Demiraj che lo zio oggi hanno reso spontanee dichiarazioni.

Il pescatore albanese, con voce rotta dall’emozione, ha detto alla Corte di aver agito solo per aiutare il nipote. «Non ho ucciso nessuno - ha detto - dovevo aiutarlo perché è come un figlio e ha solo me in Italia». Demiraj invece ha ricostruito la sua relazione con la donna uccisa alla stazione: «l’amavo davvero - ha detto - ma lei mi ha tradito anche con mio cugino in Albania, nel letto dei miei genitori».

Il fornaio comunque ha escluso la premeditazione e ha raccontato di aver perso la testa e aver agito per gelosia. «Mi dispiace per la famiglia di Mannina, lui ha pagato per le azioni di lei e per il mio orgoglio».

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