Del Zoppo: «Tre anni zitto
Ora basta diffamazioni»

Caso Mingarelli. Dopo la seconda archiviazione, parla il rifugista dei Barchi «Ho sempre detto tutto, su di me cose che non stanno né in cielo né in terra»

«In questi tre anni, ne ho sentite di ogni sul mio conto, ma non ho mai fatto niente. Sono stato zitto. Ho atteso che la giustizia facesse il suo corso e ho riferito dell’accaduto a magistratura e carabinieri ogni volta che sono stato chiamato. Adesso, però, dopo quello che hanno detto i legali della famiglia Mingarelli prima dell’udienza di opposizione all’archiviazione, zitto non sto più. Perché hanno detto cose sul mio conto che non stanno né in cielo né in terra. Una diffamazione unica».

A parlare è Giorgio Del Zoppo, 52 anni, di Chiesa in Valmalenco, gerente del rifugio Barchi, il luogo più volte indicato dai legali della famiglia Mingarelli come quello da cui ripartire con nuove indagini sulla morte di Mattia Mingarelli, il 30enne di Albavilla, in provincia di Como, ritrovato cadavere la vigilia di Natale del 2018 in un boschetto sottostante i Barchi.

La vicenda

Per la giustizia la morte è avvenuta per caduta accidentale, nel bosco: lo ha sempre sostenuto la Procura della Repubblica di Sondrio, che ha chiesto per due volte l’archiviazione del fascicolo originariamente aperto per omicidio verso ignoti. E lo ha ribadito l’archiviazione decisa giovedì scorso dal giudice per le indagini preliminari Fabio Giorgi.

Per la famiglia Mingarelli e i legali (Stefania Amato e Paolo Camporini) la morte è invece avvenuta per mano di terzi, o volontariamente o in maniera preterintenzionale.

«Quello che avevo da dire l’ho detto da subito ai carabinieri che mi hanno sentito, sempre come persona informata dei fatti e mai come indagato - dice Del Zoppo -. Sono stato io stesso a dire loro di aver incontrato, nel pomeriggio del 7 dicembre 2018, Mattia nel mio rifugio. Nonostante fosse chiuso, era venuto a chiedermi se avevo camere per il Capodanno. Abbiamo sbocconcellato in cucina un po’ di prosciutto crudo e bevuto un poco di vino - dice Del Zoppo - Come si sono svolti i fatti l’ho detto io stesso ai carabinieri».

Le risposte

«All’indomani mattina - racconta - ho trovato il telefono di Mattia nei pressi del rifugio e del vomito fuori dalla porta. Perché avrei dovuto, allora, cancellare tracce, allagare la cantina, rompere i sigilli? Ma dico, stiamo scherzando?». Il riferimento è alla ricostruzione dei legali di Mingarelli. «Il 27/28 dicembre è stato tutto trovato tutto allagato perché si sono rotti i tubi dell’acqua per via del gelo - dice ancora il rifugista -. Hanno messo i sigilli al rifugio il 9 dicembre, prima che potessi chiudere l’acqua. E da allora non sono più potuto entrare nello stabile fino al marzo 2019, quando è stato dissequestrato. La faccenda delle macchie di sangue, poi, da dove salti fuori non lo so. Non c’era nessuna macchia, è garantito».

Anche di altri aspetti segnalati dai legali della famiglia, che hanno parlato di un terzo uomo presente nel rifugio quel pomeriggio, di un cellulare bruciato, di un furgone visto salire e scendere in tarda serata, chiediamo a Del Zoppo.

«Non c’è nessun terzo uomo - replica, fermo -, solo una persona, che tra l’altro non è fra quelle citate dai legali, è entrata un minuto nel rifugio, non di più, quando ero lì che parlavo con Mingarelli. Se n’è andato subito e non è stato bruciato nessun cellulare. Quanto al furgone, è stato visto passare a Chiesa, non certo qui dove non c’è nessuna telecamera, e non ha nulla a che vedere con questa tragedia».

Inevitabile

«A me spiace tornare su questi aspetti, perché sono anche stufo - aggiunge -, però devo agire per me stesso, per la mia famiglia, per chi mi conosce. La giustizia ha fatto il suo corso e non avevo dubbi, però io qui esco a pezzi, come fossi un assassino...».

Scontato, quindi, un passaggio di Del Zoppo dal suo legale, Maurizio Carrara di Sondrio, che nel corso di questi tre anni l’ha assistito unicamente con riguardo ai sequestri del rifugio e dei device. Ma che ora, con ogni probabilità, lo assisterà anche a protezione della sua dignità.

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