Caso Mingarelli, no all’archiviazione
La famiglia si oppone: il 27 dal giudice

Udienza fissata davanti al Gup per la morte del trentenne comasco a Chiesa nel 2018

È fissata per mercoledì 27 gennaio, in Tribunale a Sondrio, l’udienza davanti al giudice per le indagini preliminari chiamato a decidere in merito all’archiviazione proposta dalla Procura della Repubblica di Sondrio e dell’opposizione alla medesima, avanzata dai famigliari della parte offesa, sul caso Mingarelli.

Uno dei più dibattuti degli ultimi anni, quello che ha avuto come teatro l’alta quota malenca, precisamente la zona dei Barchi, nei pressi del Palù, di Chiesa in Valmalenco, e come protagonista Mattia Mingarelli, 30 anni appena, di Albavilla, in provincia di Como, salito ai Barchi per trascorrere il ponte dell’Immacolata del 2018 nella baita presa in affitto, da anni, dalla sua famiglia.

Lì, si è consumata la tragedia. Lì, si sono perse le tracce di Mattia, che, nel tardo pomeriggio di quel 7 dicembre si era intrattenuto, al rifugio “Ai Barchi”, con il titolare, Giorgio Del Zoppo, cui si era rivolto per chiedere se avesse dei posti liberi per ospitare alcuni amici a Capodanno. In quei giorni, il rifugio era chiuso, ma Del Zoppo ha accolto lo stesso Mingarelli, e, pur confermandogli di non avere posti liberi per l’ultimo dell’anno, ha scambiato con lui alcune parole davanti a un bicchiere di rosso e ad un trancio di culatello nostrano, affettato, in semplicità, senza convenevoli, nella cucina del rifugio.

Che, poi, è stata passata al setaccio dagli inquirenti, non appena è emerso che Del Zoppo aveva incontrato Mingarelli quella sera e, proprio lì, davanti al suo rifugio, lo stesso gestore, aveva rinvenuto, la mattina seguente, il cellulare del giovane oltre a tracce di vomito che testimoniavano del malore in cui il 30enne era incorso.

Ci sono voluti giorni, tuttavia, per ritrovarlo. Nonostante l’area fosse stata setacciata in lungo e in largo, il suo corpo, privo di vita, è stato rinvenuto solo nel tardo pomeriggio della vigilia di Natale, riverso nella boscaglia adiacente la pista da sci, lungo un sentiero, d’estate, battuto dalle mountain bike, ma, d’inverno, per nulla praticato.

Per la Procura, il giovane ha trovato la morte lì, dove è stato trovato, per aver battuto la testa in seguito a caduta accidentale e per essere rimasto esposto al freddo e al gelo, ma senza che a provocarla sia stato il fatto di essere stato colpito da un corpo contundente.

Di cui, dopo certosine indagini e controlli effettuati anche al rifugio Ai Barchi, da parte di polizia scientifica e Racis di Parma, la richiesta di archiviazione dell’indagine, cui i famigliari del giovane si sono sempre, strenuamente, opposti.

Mamma Monica, papà Luca, le sorelle Chiara ed Elisa, rappresentate dall’avvocato Stefania Amato, del foro di Brescia, non si rassegnano. Per loro, il loro congiunto, che conosceva la montagna, la frequentava da anni e ne era appassionato, non si sarebbe addentrato, a tarda sera, nel folto del bosco se non per sfuggire ad un pericolo imminente.

In udienza il legale della famiglia si opporrà all’archiviazione , e lo farà, certamente, con l’intento di riaprire il caso e dar corso ad un supplemento di indagini.

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