Beata Maria Laura

La sua consorella

e quella tragica notte

Il racconto di suor Beniamina Mariani. «Mi sono vergognata di non averla capita prima»

«È stato un signore di Chiavenna, qui ritratto, nella sala museo che abbiamo allestito in quello che era il locale in cui, suor Maria Laura, riceveva i giovani e i loro genitori, a lanciare l’allarme, alle sei del mattino del 7 giugno del 2000. La conosceva benissimo, eppure, era talmente ricoperta di sangue, che non l’ha minimamente riconosciuta. È ancora vivente, anche se non sta benissimo, però, quando gli si nomina suor Maria Laura, sorride, si rasserena».

Lui è Clito Dolzadelli, un pensionato del posto, che ha rinvenuto il cadavere di suor Maria Laura, riverso a terra, un poco rannicchiato, proprio nel punto in cui, ora, sorge, un altare lei dedicato. E a parlarne, come fiumi in piena, ieri mattina, nell’ala museo dell’ormai ex Istituto Immacolata, sono state suor Beniamina e suor Carla Maria, entrambe delle Figlie della Croce, giunte a Chiavenna, da Roma, dove si trovavano, subito dopo la morte di suor Maria Laura, per risalire a testimonianze scritte e orali che ne narrassero un’esistenza piena, eppure, persino nascosta.

«Ho fatto tutto il percorso formativo, da novizia, con suor Maria Laura - racconta suor Beniamina Mariani, originaria di Lissone -, avevo 20 anni e, lei, 18, poi abbiamo insegnato insieme per un bel periodo a Roma, ero amica, le volevo bene, la stimavo, ma mi sono vergognata di non averla capita prima, la sua grandezza. Perché la pensavamo semplice, umile, delicata, donata, ma non una cosa sola con Dio, come si è rivelata».

Fino all’ultimo, fino a quel martirio, in cui si è consegnata completamente a Dio e al prossimo, che, ieri mattina, suor Beniamina, ha descritto per filo e per segno, prendendo per mano, i giornalisti, e rifacendo compiere, loro, il tragitto compiuto dalla suora la sera del 6 giugno 2000.

«Erano già passate le 21.30 - attacca suor Beniamina - e lei era qui, nella sua stanza, rimasta intatta, tale quale era allora. È suonato il telefono, lì nell’angolo. Ha risposto. Era la ragazza che asseriva di essere incinta e aver bisogno di aiuto perché i suoi genitori volevano abortisse e, solo due sue amiche, le stavano vicino e la sostenevano. Suor Maria Laura, che era avveduta, si è trovata sola, a decidere cosa fare, perché tutte le consorelle, una decina, erano già nelle loro stanze. Ha insistito perché la ragazza venisse direttamente in convento, ma non ha voluto».

Allora ha telefonato a don Ambrogio Balatti, chiedendogli di andarle incontro, e poi è uscita, raggiungendo piazza Castello.

«È qui che ha incontrato la ragazza, che le ha chiesto di spostarsi in via Bottonera - dice suor Beniamina -. Lì, ancora, suor Maria Laura ha insistito perché andasse in convento e la ragazza ha abbozzato, dicendo che sarebbe andata a prendere le sue cose in auto, parcheggiata a Poiatengo, e si è incamminata. Suor Maria Laura, rimasta sola, ha incontrato don Ambrogio in bicicletta, ma le ha detto che era tutto a posto, di andare pure, che la ragazza si era convinta a seguirla in convento e la stava aspettando. Invece, la trappola si stava tendendo sempre di più...».

Perché, invece di tornare con i propri effetti personali, la ragazza è tornata dalla suora accompagnata da altre due giovani che si sono molto complimentate con suor Maria Laura per la sua disponibilità e l’hanno persuasa a raggiungere Poiatengo con loro, dove c’era l’auto.

«Ma era falso, tutto falso - dice suor Beniamina - e quando suor Maria Laura, giunta in fondo al vicolo, all’ora buio, ha visto che non c’era nessuna auto, era troppo tardi».

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