Baby gang, parla una mamma
«Mio figlio, sotto choc per la condanna»

Sentenze «troppo dure» secondo i difensori che chiedevano la “messa alla prova” - Chiesti per tutti gli arresti domiciliari, la prossima settimana il tribunale scioglierà la riserva

Como

«Mio figlio? Un po’ sotto choc, tramortito, ma del resto era inevitabile. Tra tutti è quello cui la Procura contestava il maggior numero di episodi e di conseguenza quello che ha ricevuto il trattamento più duro».

All’indomani delle condanne del primo gruppo di 10 “baby fuorilegge” giudicati l’altroieri dal tribunale dei minori per una sfilza di furti, rapine e malefatte commesse in città fino allo scorso febbraio (quando molti di loro furono arrestati), qualche voce rompe il muro di silenzio, peraltro doveroso nel caso di imputati minorenni.

C’è quella di una delle mamme che hanno assistito al processo - e che ora si augura che suo figlio possa proseguire non solo nel suo percorso di espiazione ma anche, e soprattutto, in quello scolastico - e ci sono quelle di una parte dei difensori coinvolti nel processo, alcuni dei quali convinti del peso eccessivo della mano del giudice nei confronti dei ragazzi.

«Personalmente credo che si sarebbe potuto fare un più puntuale ricorso allo strumento della cosiddetta “map”, la messa alla prova - dice per esempio l’avvocato Angelo Bianchi -. Uno strumento che meglio avrebbe garantito, a mio modo di vedere, un percorso di reinserimento scolastico, professionale e in definitiva sociale». A Bianchi fa eco il collega Alessandro Borghi: «Abbiamo chiesto l’attenuazione della misura, vorremmo cioè che ai ragazzi ancora detenuti al Beccaria fosse consentita la possibilità di trasferirsi, in regime di arresti domiciliari, presso una comunità che garantisca la prosecuzione del percorso di formazione e crescita avviato in carcere. Il Beccaria è servito senz’altro in una fase iniziale, per aiutarli a comprendere il disvalore dei loro comportamenti. Ora però, trascorsi sei mesi, bisognerebbe voltare pagina».

«Del resto - aggiunge Francesca Binaghi, l’avvocato che assisteva il più piccolo del gruppo, 14 anni e mezzo e un diploma di scuola media conseguito, due anni in uno, in regime di detenzione - il ricorso al carcere nel processo minorile dovrebbe essere davvero residuale. Il rischio è quello che, altrimenti, in un contesto di totale deprivazione affettiva e sociale, la pena smetta di essere rieducativa come invece dovrebbe». Di dieci imputati - difesi anche dagli avvocati Egon Bianchi e Fabio Lucchese, soltanto tre hanno ottenuto la messa alla prova: per gli altri, per i quali è stata richiesta l’attenuazione della misura cautelare, bisognerà aspettare fino alla prossima settimana, quando il tribunale scioglierà la riserva. Di baby gang si parlerà ancora: altri ragazzi, infatti, hanno scelto la strada del rito ordinario e ancora aspettano di essere processati. «La notizia migliore - conclude la mamma del giovane condannato a cinque anni e mezzo - è che finalmente, mio figlio ha recuperato gli anni persi. E ha ottenuto il diploma di licenza media».

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