Al killer di don Roberto 25 anni. Sconto di pena incomprensibile

La sentenza I giudici della corte d’Assiste di Appello cancellano la condanna al carcere a vita. Ridha Mahmoudi ritenuto capace di intendere, ma gli sono state riconosciute delle “attenuanti”

È una sentenza che fa rumore quella letta ieri – dopo due ore di camera di consiglio – dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano. Ridha Mahmoudi, l’uomo che a colpi di coltello uccise don Roberto Malgesini davanti alla chiesa di San Rocco, non sconterà l’ergastolo (come era stato deciso a Como) ma 25 anni di carcere. Il perché di questa decisione non è al momento comprensibile.

La morte di don Roberto aveva sconvolto due comunità, quella comasca, che vedeva ogni giorno l’opera silenziosa del sacerdote, e a Cosio Valtellino, i parenti e gli amici. A lui Cosio ha dedicato l’auditorium delle scuole mentre a Gerola è stato elevato un cippo vicino al Tempietto degli alpini.

Quello che si sa, è che la Corte ha riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, in sostanza “annullandole”. La pena è dunque rimasta quella base dell’omicidio volontario, 24 anni, più un anno per l’arma arrivando al totale di 25 anni. Le aggravanti, però, erano pesanti e – all’apparenza – senza vie di scampo: l’efferatezza dell’omicidio, con le decine di fendenti anche al collo del religioso, la premeditazione e la recidiva. Per rendere l’idea, è come posizionare queste aggravanti su un piatto della bilancia e risulta difficile capire – visto anche il percorso di Mahmoudi e i molti fascicoli aperti a suo carico, ma anche il suo comportamento processuale – cosa possa essere stato posto sull’altro piatto per arrivare a quella “equivalenza” di cui si parlava e che ha portato a non aggiungere anni alla pena base.

Il delitto

Così, la pena per l’uomo che uccise in modo brutale don Roberto, fino a tagliarsi lui stesso per la violenza dei colpi inverti, è scesa dall’ergastolo a 25 anni. La decisione, come detto, è giunta ieri in tarda mattinata. L’udienza si era aperta con il confronto tra i due tecnici che avevano analizzato la mente di Ridha Mahmoudi, tunisino di 53 anni. I giudici di Milano avevano deciso infatti – al contrario di quanto era stato stabilito a Como – di concedere la perizia psichiatrica affidando l’incarico a due periti, i dottori Marco Lagazzi e Mara Bertini. La difesa, con l’avvocato Sonia Bova, aveva invece nominato il consulente di parte Mario Pigazzini. E ieri mattina le parti si sono sfidate proprio su questo punto, con i periti del Tribunale a sottolineare la piena capacità di intendere e di volere di Mahmoudi, e la difesa a caldeggiate la sua totale incapacità.

Si è poi arrivati alle conclusioni (con l’accusa che ha chiesto la conferma dell’ergastolo) e alla camera di consiglio che si è conclusa con una decisione che non è esagerato definire come un colpo di scena. E questo nonostante il già annunciato mancato riconoscimento dell’incapacità di intendere e di volere.

Il 15 settembre 2020

Ridha Mahmoudi, uno degli uomini che don Roberto aveva più volte aiutato nella sua vita accanto agli ultimi e agli invisibili, la mattina del 15 settembre 2020 pose fine – a coltellate – alla vita del prete degli ultimi. Un delitto avvenuto colpendo il religioso alle spalle, mentre preparava le colazioni – alle 7 della mattina – da portare ai poveri dalla città.

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