A Lecco posata una pietra d’inciampo
nel ricordo di Emma Casati

La donna era una delle operaie della Bonaiti arrestata il 7 marzo 1944 e deportata prima a Mauthausen e poi Auschwitz, il campo di concentramento da cui non è mai tornata. L’iniziativa è avvenuta in occasione dell’ottantesimo anniversario degli scioperi del 1944

A Lecco questa mattina in via Gramsci 17 è stata posata una pietra d’inciampo nel ricordo di Emma Casati, una delle operaie della Bonaiti arrestata il 7 marzo 1944 e deportata prima a Mauthausen e poi Auschwitz, il campo di concentramento da cui non è mai tornata. L’iniziativa è avvenuta in occasione dell’ottantesimo anniversario degli scioperi del 1944 ed è stata voluta dall’Associazione “Pio Galli”, in collaborazione con l’Anpi provinciale. La posa della pietra d’inciampo è avvenuta dove si trovava l’abitazione di Emma Casati ed ha visto la partecipazione dei ragazzi degli Istituti Bertacchi di Lecco e Greppi di Monticello.

Durante la cerimonia, hanno preso la parola il sindaco di Lecco, Mauro Gattinoni, Dario Pirovano dell’Associazione Pio Galli e Patrizia Milani, presidente dell’Anpi Lecco. Gli studenti hanno poi letto alcune lettere ispirate alla storia di Emma Casati e scritte durante e dopo un viaggio a Mauthausen, organizzato dai sindacati per quelli che sono chiamati i “viaggi della memoria”.

Emma Casati venne arrestata, insieme a tutti gli operai suoi colleghi, per gli scioperi di Lecco; cinque furono le donne lecchesi deportate, lei fu l’unica a non tornare. «Emma Casati fu la sola donna a non tornare dai campi di concentramento nazisti. – ci dice Patrizia Milani, presidente dell’Anpi Lecco –. Tutti gli arrestati della Bonaiti arrivarono il 20 marzo 1944 a Mauthausen, poi le donne furono incarcerate per pochi giorni a Vienna ed in seguito, il 29 marzo, arrivarono ad Auschwitz. Regina Aondio in un primo tempo, e poi anche Antonietta Monti e Elisa Missaglia finirono a Flossenbürg, mentre Agnese Spandri Fumagalli, su trasferita a Ravensburg. Emma Casati, invece, non si mosse da Auschwitz. Ne abbiamo appurato il motivo dai documenti che sono conservati negli Archivi di Arolsen, in Germania, un centro internazionale di documentazione, informazione e ricerca sulla persecuzione nazista, il lavoro forzato e l’Olocausto nella Germania nazista e nelle regioni occupate. L’archivio ci ha inviato un documento dell’infermeria di Auschwitz, firmato nientemeno che dal dottor Mengele, secondo cui Emma era ricoverata per sospetta febbre tifoide. Quindi o morì per la malattia oppure, essendo inabile al lavoro, finì nei forni crematori».

Le pietre d’inciampo sono, dunque, una traccia fondamentale per fare memoria. «Sono importantissimi segni della nostra storia. – conclude patrizia Milani – C’è scritto poco, ma sono indicazioni sufficienti per ricostruire chi sono gli uomini e le donne vittime dei lager nazisti». Oltre alla pietra d’inciampo per Emma Casati, a Lecco ce ne sono altre due, quelle di Lino e Piero Ciceri, in via Resegone. Inoltre, ce ne sono altre due in Valsassina: una a Cassina per Rinaldo Combi ed un’altra a Premana in ricordo di Giovanni Battista Todeschini. Infine, a Olgiate sono state posate una pietra d’inciampo per Paolo Carpi ed un’altra per Ernesto Cattaneo. Inoltre, a settembre a Lecco sarà posata un’altra pietra d’inciampo per i lecchesi fucilati a Fossoli.

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