Violenza sulle donne. Bruzzone: “Due su dieci sporgono denuncia”

Chiavenna Ospite la psicologa e criminologa Roberta Bruzzone

«Assassinate la badante interiore che è in voi, perché non potete salvare proprio nessuno con il vostro infinito amore, salvo voi stesse».

Parole forti quelle usate da Roberta Bruzzone, psicologa forense e criminologa investigativa, per scuotere la platea delle tante donne (pochi uomini) convenute al Victoria di Chiavenna, martedì sera, per prendere parte al secondo incontro del ciclo “Riflessioni sul fondamentale tema del femminicidio”, voluto dal Soroptimist club Valchiavenna, in collaborazione con i Comuni di Chiavenna e di Piuro e con la locale Comunità Montana.

Sul palco, ad accogliere e intervistare Roberta Bruzzone, c’erano Antonella Guazzini, socia del Soroptimist, con Nicola Prati, presentatore, in prima fila tante Soroptimist valchiavennasche unitamente a Luca Della Bitta, sindaco di Chiavenna, Alessandra Martinucci, vicesindaco di Piuro, Severino De Stefani, sindaco di San Giacomo Filippo, Davide Tarabini, sindaco di Prata Camportaccio, e in rappresentanza delle forze dell’ordine, il capitano Giuseppe Antonicelli, comandante della Compagnia di Chiavenna dei Carabinieri.

“Quando l’amore diventa una trappola mortale”, il tema trattato da Bruzzone che si è rivolta alla platea senza peli sulla lingua.

«In trent’anni il fenomeno dei femminicidi non è mutato - ha detto -, è stabile, non aumenta e non diminuisce. Ma se non aumenta è solo per il fatto che in poche denunciano. Non più di due donne su dieci lo fanno e questo succede o perché hanno troppa paura delle conseguenze e non si fidano abbastanza della protezione che può essere garantita loro dalle istituzioni, o perché non hanno neppure piena consapevolezza della condizione di estrema soggezione in cui vivono e la reputano, addirittura, normale. Ciò che accade per via della sopravvivenza atavica di stereotipi di genere».

Sui quali Bruzzone ha a lungo indugiato, in primis sulla tendenza delle donne stesse a darsi addosso.

«Ricordo che il 40% delle donne intervistate sul tema delle cause dei femminicidi - ha detto Bruzzone - ritiene che sia in parte la donna stessa ad essersela cercata. Magari perché in preda all’alcol, alla droga, o per essersi messa in situazioni ambigue e di pericolo. Tanto più se vestita in modo per così dire inadeguato. Invece questa prospettiva va ribaltata, perché responsabile dello stupro è sempre lo stupratore, tanto più se approfitta di una persona in condizioni alterate. Aggiungo, però, che la stragrande maggioranza delle violenze non accade su donne ubriache o discinte, ma fra le mura domestiche, su donne a lungo abusate, in pigiama e senza trucchi di sorta».

Donne che, questo sì, devono assumere consapevolezza loro stesse della necessità di togliersi da quella condizione di soggezione e liberare, con loro, dai soprusi, anche i loro figli.

«Tante violenze non emergono perché la donna accetta tutto, purché la famiglia non si sfaldi - ha detto Bruzzone -. Solo in nome della famiglia, ma così, si costringono anche i figli ad assistere a violenze che, poi, si portano dentro e tendono pure a replicare».

Un gatto che si morde la coda, e che non accenna a smettere di farlo neppure quando si tratti delle giovani generazioni.

«Pericolosissima la tendenza in voga fra le ragazze di permettere al compagno di seguirle sul telefonino, di geolocalizzarle, e controllare anche il cellulare - ha detto -, che è uno scrigno delle nostre vite. Eppure, le ragazze accettano, convinte che sia una dimostrazione d’amore e un segno di protezione, quando è solo l’inizio di un percorso di sottomissione».

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