Cronaca / Sondrio e cintura
Lunedì 02 Marzo 2015
Castagna a Sondrio: «Il mio percorso di sofferenza»
Ospite dei “Venerdì di Quaresima”, ha raccontato come ha superato l’orrore della strage di Erba. «Nel cristiano può esserci dolore, ma mai tristezza. E adesso vivo con Solitudine e Beatitudine».
«Nel cristiano può esserci dolore, certo; ma mai tristezza»; ha citato il parroco di Erba don Giovanni Foi, Carlo Castagna, ospite consistente tanto sul piano esemplare che su quello spirituale (oltre che mediatico) del secondo incontro del ciclo organizzato dalla Comunità pastorale di Sondrio per centrare l’attenzione sul tema del perdono durante i “Venerdì di Quaresima”.
Chiesa della Beata Vergine del Rosario tutta esaurita per la serata di approfondimento che ha visto don Marco Zubiani fare gli onori di casa al fianco dell’uomo che ha perso moglie, figlia e nipote nella cosiddetta “strage di Erba”; ma che di fronte alla tragedia familiare ha reagito ribaltando la prospettiva. «Quello che ho accordato ad Olindo e Rosa Bazzi è stato un perdono assolutamente spontaneo, immediato: non si tratta di “scarsa metabolizzazione del dolore”, tutt’altro».
La riconciliazione «è stato un passo vitale, per poter superare la sofferenza – inevitabile – e riprendere la strada. Adesso vivo - ha aggiunto nel suo intervento Castagna - con Solitudine e Beatitudine: figure incontrate già durante le letture che ero solito fare con Paola. Sono loro, oggi, le mie compagne: l’una può stare insieme all’altra solo grazie al perdono che ho potuto accordare a chi mi ha fatto del male». Solitudine beata, dunque, che non impedisce, però, al nonno di Youssef Marzouk incontri frequenti e vitali, almeno quanto quello che lo ha portato fino a Sondrio, anni fa, per incontrare don Ugo Pedrini in seguito ad un articolo steso dal religioso valtellinese sui fatti di Erba («Quando ho incontrato don Ugo in Collegiata, ci siamo abbracciati: una persona eccezionale, dopo quel giorno ci siamo incontrati diverse volte»); solitudine beata che ha permesso a Castagna di trasformare la casa dell’omicidio «da luogo di morte a strumento di vita: la casa oggi è gestita dalla Caritas, che in questi anni l’ha concessa a cinque o sei famiglie in difficoltà economiche, le quali grazie a questa hanno trovato un tetto sotto cui stare».
Il perdono come forma di digiuno creativo, dunque, quello su cui si è riflettuto durante il secondo dei “Venerdì di Quaresima” che stanno portando più di cento persone ogni volta alle serate di riflessione (e cena povera) organizzate dalle due parrocchie di Sondrio. E che vedranno, il prossimo 20 marzo, la testimonianza di altri due volti resi noti dalle cronache: sarà Claudia Francardi, moglie del carabiniere Antonio Santarelli ucciso nel 2011 in seguito alle ferite riportate durante un controllo di routine, a presentare la propria visione del perdono.
Non solo a parole: con lei ci sarà Irene Sisi, la madre del ragazzo di diciotto anni che ha ucciso Santarelli, quattro anni fa: «Ho conosciuto Claudia Francardi a Roma, a un convegno tra cappellani di carcere – racconta don Ferruccio Citterio (cappellano della Casa circondariale di Sondrio) –; persona straordinaria: tengo molto alla testimonianza che lei e Irene porteranno, in uno dei venerdì più vicini alla Pasqua».
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