Giorgetti e tajani alla fine è un pareggio

Il duello tra Antonio Tajani e Giancarlo Giorgetti sulle nuove misure “di austerità” è finito con un pareggio. Ma andiamo con ordine.

Forza Italia negli ultimi giorni ha duramente contestato al Ministero dell’Economia l’ultima restrizione fatta alle regole del Superbonus (pare che si tratti della trentaduesima modifica al testo del governo Conte) soprattutto perché, dilatando i tempi dei crediti fiscali da quattro a dieci anni, introduceva un principio che farebbe indignare anche uno studente di primo anno di Giurisprudenza: la retroattività della legge.

Tanto era dura la contrapposizione di Tajani a tali misure che, per dribblare l’opposizione azzurra in Commissione Finanze del Senato e azzerare un possibile voto contro il governo del partito guidato dal ministro degli Esteri, si era addirittura pensato di far aumentare il numero dei commissari paracadutando in Commissione un senatore di FdI. Prima accolto e poi rinviato dal presidente La Russa, l’escamotage (che aveva suscitato le proteste dell’opposizione e probabilmente anche le riserve dei funzionari) si è rivelato piano piano inutile. Perché nel frattempo Tajani è riuscito ad ottenere l’altra cosa che gli premeva: il rinvio di almeno un anno della cosiddetta “sugar tax”, la misura fiscale sulle bibite introdotta da Conte nel 2020 e sempre rinviata dai vari governi. Per quanto il voto in Commissione sia stato assai tribolato e si sia arrivati al risultato solo grazie al contributo dei renziani, sta di fatto che Tajani ora può dire di essere riuscito a sventare una nuova tassa: ”Finché noi saremo in maggioranza, non aggiungeremo una sola tassa sulle spalle dei cittadini” diceva il vicepremier a tutti i microfoni, taccuini e telecamere che gli capitavano a tiro dalle parti di Montecitorio. Quindi, ottenuto il rinvio della tassa sullo zucchero, ha potuto dire che sì, le restrizioni sul Superbonus volute da via XX settembre sono un errore (“minano la fiducia del cittadino e dell’investitore nei confronti delle regole stabilite dall’autorità pubblica”) soprattutto per quel che riguarda la retroattività, ma ciononostante “Forza Italia ha garantito lealtà al governo”.

Uno a uno. Nel frattempo il Tesoro si sta alambiccando per trovare le risorse che dovranno coprire il buco creatosi con il rinvio della sugar tax. È sicuro che gli ottanta euro in busta paga per le tredicesime non saranno pagate a dicembre 2024 ma almeno a gennaio così da pesare sul Bilancio 2025 e non ’24. A via XX settembre si cercano soldi in ogni angolo buio del bilancio e si cerca di resistere alle richieste sempre più insistenti delle forze politiche di maggioranza decisamente in formato “campagna elettorale”: a giugno si vota per le europee, come tutti sanno, e si vota con il sistema proporzionale che serve per “pesare” la forza di un partito.

A FdI basta – parola del braccio destro di Meloni a Palazzo Chigi Fazzolari – mantenere il livello raggiunto alle ultime politiche del 2022, vale a dire una montagna di voti pari al doppio di quanto raccolgono, insieme, Forza Italia e Lega: per Giorgia Meloni dopo diciotto mesi di governo sarebbe un risultato di grande livello che la aiuterebbe molto nella trattativa con i partner europei nel momento in cui tratterà i posti in Commissione (“voglio una delega pesante, l’Economia o la Concorrenza”). Per il resto, si tratta di capire se Forza Italia riuscirà a mantenere il lento percorso di risalita che sembra profilarsi e se la Lega sarà in grado di fermare l’emorragia di voti che angoscia Salvini.

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